L'ego celato

Annarita Cirillo

L’artista Donato Di Zio con rara abilità articola, in un disegno a china potenziato dall’inserimento del colore, le suggestioni figurali di una realtà universale, esplorazione di un profondo ed oscuro “pelago”, così propriamente definito dal più grande storico e critico d’arte dei nostri tempi Gillo Dorfles, spazio vitale di un mondo cellulare di aggregazioni, vortici e movimenti fluttuanti in volute, di protozoiche forme essenziali che richiamano pulsioni, smarrimenti, emozioni e poi lontananze infinite di profondi ed oscuri abissi.
Immagini “interiori” e fantastiche, realizzate con un particolare segno calligrafico criptico, che rimandano alle opere grafiche di M.C.Escher anche nel loro sotteso riferimento reale.
Le sue atmosfere oscure conducono spesso lo sguardo ad una convergenza accentuata, paiono fissare un punto d’incontro nel vivo dell’opera, là dove le “marezzature” inquiete sembrano accentuare una risalita sotto il pelo dell’acqua, a ristabilire una superficie riflettente da cui possa trasparire il pensiero.

 E’ una circolarità che si muove intorno all’Io, all’indagine di un’origine, che per la sua vastità e complessità non potrà deliberatamente mai dirsi ricerca conclusa, poiché i suoi confini sono quelli infiniti della creatività.
Nelle sue opere affiora, indefinita e pungente, la natura mutevole dell’uomo contemporaneo, la cui fluidità fisica-culturale è in consonanza con la fragile mutazione dei nostri tempi, e travalica identità, generi, tipizzazioni e certezze.

In un discorso espressivo libero Donato Di Zio postula una precisa scelta di universalità, presente in tutte le componenti del messaggio artistico; nel suo far arte non ci sono freni, nè reticenze, nè mode all’identità di un intreccio creativo che si sviluppa intellettualmente intorno all’ego, in un esclusivo equilibrio compositivo, evidente nel rapporto armonico fra l’elemento calligrafico e quello sensibile-percettivo.
Il suo segno grafico è duttile a tali sottesi passaggi, si raffina o rafforza nel tessuto della percezione, accenna talora a mutarsi in un disegno più figurale, come quello riferibile alla simbologia dei segni zodiacali, tematica realizzata tra il 2000 ed il 2002.

In queste opere il leggero evidenziarsi della linea rende appena più accennata e intuibile la figurazione e come in “Pelagocinquantanove” (Cancro) e “Pelagosessantanove” (Sagittario), l’introspezione simbolica realizza una sintesi di raffinatissima espressività; traspaiono da essa le motivazioni del pensiero esistenziale, che al di là della superstizione, tra credulità ed incredulità, paiono voler creare una “spazialità mentale” aperta al destino e ad una speranza che accetta l’illusione. Anche il cosmo e tutte le configurazioni astrali paiono emergere in alcune sue opere o apparire appena, nascoste nel groviglio dei suoi segni, per poi subito svanire in esso, nel mentre il nostro immaginario è già pronto a compiere un nuovo percorso.
Assorbito nel segno riaffiora talora nella sua ricerca anche il senso di uno spazio aperto, desiderio di memoria e natura.

E’sempre vivo infatti il forte interesse dell’artista per gli immensi spazi, suggestione di biondi campi di grano su cui, in tanti posti del mondo, paiono d’improvviso comparire grandi ed intriganti geometrismi segnici (frattali), quasi a lasciare impronte misteriose che conducano ad un senso di dimensione altra, verso l’esplorazione di nuovi confini.
Da tali premesse si giunge a considerare quanto, in un formato di limitate dimensioni, i suoi disegni riescano a contenere un concetto di spazio senza confini. In essi il segno si espande e dilata, quasi oscilla tra le varie indicazioni prospettiche ed ideative, ma il suo spazio pittorico non è una dimensione difforme da quella dell’esperienza, patrimonio interiore della sua creatività; si deduce da essa, si definisce attraverso gli stimoli delle sue continue elaborazioni emozionali: il suo segno-disegno s’insinua nella coscienza, inserisce la dimensione della visione nella dimensione dell’esistenza, quella che accetta il concetto di “infinito”.
Tale compenetrazione, visualità d’immagine tra figurazione ed astrazione, appare codice acquisito di forte personalità e di definita identità segnica presente nelle varie tipologie d’opera.
L’artista ha elaborato infatti anche progetti all’interno dello spazio urbano di città d’arte, come Firenze e Parigi, ricollegandosi idealmente alla Land Art degli anni ‘60. Basti citare Walter De Maria, Jannis Kounellis e in tempi più recenti la ricerca di Franco Summa.

La progettualità di Donato Di Zio percorre in particolare i territori urbani dei centri storici d’arte, a vivacizzare, seguire e far procedere nel tempo, quel filo conduttore che non si è mai interrotto nella prosecuzione dell’arte e che si è inserito nell’avvicendarsi dei secoli, tra stili che si susseguono, accompagnano e talora sovrappongono.
Valenza altra della sua arte è lo spessore del substrato psicologico, l’indagine esistenziale, che pur partita dall’interno di sé assume carattere di comunicazione e condivisione universale.
Al di là, infatti, della innegabile qualità di seduzione visiva delle immagini, permane la natura interiore del segno che si connota di una sempre nuova frenesia vitale, in un’armonia fantastica di volute ad onde e centrali punti di fuga da cui pare si sprigioni, come ad esplodere da un velo strappato, l’Io più ascoso.

Esprimono rotte sinuose i suoi ghirigori di nera china, emozioni che serpeggiano tra oscure mappe senza tempo, labirinti, ora sommersi ora riaffioranti, di universi intimi ed infiniti.
Essi si compongono di una consapevolezza rara che affiora in superficie, specchio di placide acque in cui lo scorrere del tempo è scandito da un ritmo immoto, quasi impalpabile, che ingloba il senso dell’eternità.
Le tante valenze di questa arte, che racchiude il senso di uno spazio universale, la fantasia, la tecnica, una mirabile estetica, un personalissimo segno calligrafico, l’indagine di un processo autoriflessivo di “mutazione”, si riconducono tutte ad una sottesa ma riferibile realtà, all’interiorità di una immaginazione fantastica che rende le opere soffuse di luminescenze mutabili, ora più vive, ora appena accennate, trasparenti e misteriose, in una gamma di sempre nuove ed impreviste alternanze e in una logica narrativa di particolare effetto scenografico.

Siamo tutti immersi in un “pelago”, sulla scia di un “plankton” che cattura e ingloba.
Ed è uno sguardo attento e contemporaneo quello di Donato Di Zio, e in continuo movimento, volto a cogliere le molteplici sfumature di una realtà non episodica e territoriale ma internazionale e universale; tutti possiamo introspettivamente avvalerci del suo inquietante mondo particellare, dal quale accade di sentirsi inevitabilmente attratti ma che nello stesso tempo si vorrebbe respingere, come nel cogliere all’improvviso l’amara coscienza di quel senso contemporaneo della vita in cui poter perdersi e difficilmente ritrovarsi.

La sua arte richiama l’uomo alla riflessione e alla pausa, tempo di pace, momento di distacco e chiarimento dell’ego celato, che l’artista ha fatto territorio senza confini della sua poetica e straordinaria capacità creativa.